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Myanmar. I militari feriscono ancora.

E’ passato ormai più di un mese da quando i militari hanno preso possesso del Myanmar, la vecchia Birmania, mediante un colpo di stato che ha visto destituire la presidente eletta Aung San Suu Kyi, membro del partito liberaldemocratico NLD (National League for Democracy/ Lega Nazionale per la Democrazia). Suu Kyi è stata quindi arrestata e confinata in casa sua da allora, ma sembra stia bene e non le sia stata usata violenza.

Le proteste non hanno tardato comunque ad arrivare, pochissimo tempo dopo il popolo birmano è sceso in piazza e la stessa leader lo ha incoraggiato a lottare non per difendere lei, ma il governo democraticamente eletto dai cittadini con oltre l’80% dei voti alle elezioni di novembre del 2020. Con il coronavirus che ancora minaccia il paese, milioni di persone hanno deciso di manifestare il loro dissenso nei confronti di una giunta militare che da decenni impedisce la transizione democratica. I militari birmani fanno parte del Tatmadaw, l’organizzazione che si occupa della difesa e della sicurezza del paese, e hanno come braccio politico il Partito per la Solidarietà e lo Sviluppo, di ideali riconducibili chiaramente all’estrema destra.

Il partito di Aung San Suu Kyi ha quindi ottenuto la stragrande maggioranza dei seggi e il governo della nazione, questo sarebbe il motivo che ha spinto l’esercito a destituire la neoeletta presidente. La stessa figura di Suu Kyi è stata molto discussa soprattutto dall’Occidente. La leader è infatti figlia di un eroe nazionale per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, tornata in patria per lottare per la liberazione dall’imperialismo e perseguitata fin da subito dalla giunta militare. La sua attività nella Lega Nazionale per la Democrazia le ha permesso di diventare famosa al livello mondiale, oltre ad essere apprezzata soprattutto dalla sinistra progressista e dai liberaldemocratici dell’Occidente. Il supporto nei suoi confronti cominciò comunque a vacillare quando Suu Kyi si rese responsabile di alcune contraddizioni riguardo agli obiettivi politici del partito. Come liberaldemocratica lei si proponeva  fautrice dell’uguaglianza etnica, professata dall’intero NLD, tra tutti i gruppi presenti nel Myanmar. Nonostante ciò, quando i militari avviarono un’ulteriore persecuzione sulla minoranza musulmana dei Rohingya, lei non si oppose.

Fu uno shock per tutti i suoi sostenitori esteri quando appoggiò pubblicamente una forma di differenziazione tra il popolo birmano e i rohingya, rinchiusi in campi profughi che versano in condizioni igienico-sociali degradanti. La sofferenza di migliaia di rohingya ha quindi provocato una risposta diplomatica dell’Occidente, che ha deciso di voltarle le spalle. Molti sociologi e conoscitori della società birmana hanno comunque affermato che il razzismo contro i musulmani sia come intrinseco nel popolo del Myanmar.

Con il golpe del 1° febbraio, però, è diventata di nuovo il simbolo della protesta in un paese dove la sua popolarità raggiunge i massimi storici. Alcuni intellettuali birmani hanno tuttavia affermato che troppe volte Suu Kyi ha assunto atteggiamenti poco liberali e non adatti alla difficile situazione della transizione democratica del paese. Queste motivazioni ovviamente non giustificano la violenza dei militari nei confronti della popolazione.

Il vero simbolo della resistenza birmana chi è alla fine? Il birmano comune, che scende in piazza sapendo che potrebbe essere arrestato o ucciso. Il birmano che sente dai suoi genitori e dai suoi nonni storie che vanno a decine di anni addietro. Storie di sangue e di proiettili, di invasori stranieri e violenza interna. Il sangue in Myanmar non viene versato solo nelle storie. Dal golpe ad oggi sono state uccise 54 persone e 1700 sono state ferite, oltre agli innumerevoli arresti. Queste cifre sono quasi sicuramente sottostimate, dato che gli osservatori dell’ONU riescono a fatica a registrare i dati relativi a quest’ondata di violenza. Molto famosi sono diventati gli avvenimenti degli ultimi giorni, come la preghiera della suora cattolica Ann Nu Thawng, che si è inginocchiata davanti alle forze dell’ordine implorando di non sparare sugli studenti, oltre ad aver accolto alcuni manifestanti nel suo convento per salvarli dal pestaggio della polizia. Vi è poi un’altra notizia che è stata la principale riguardante gli scontri tra la polizia e i manifestanti. Il 4 marzo è stata uccisa Deng Jia Xi, conosciuta nel mondo come Angel, a cui è stato sparato un proiettile in testa. Le sue ultime parole sui social sono state per un suo amico, una persona a cui voleva bene:

‘’Potrebbe essere l’ultima volta che te lo dico: ti amo tantissimo. Non lo dimenticare.’’

Il presidente Aung San Suu Kyi e il capo dell’esercito Min Aung Hlaing
Deng Jia Xi (Angel) mentre stringe la bandiera della Lega Nazionale per la Democrazia
Deng Jia Xi ad una manifestazione.
La suora Ann Nu Thawng

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