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Il Berti non dimentica

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre” – Primo Levi.
Con questa frase di un uomo che ha visto ciò che noi ricordiamo oggi con i suoi occhi, ci soffermiamo sull’Olocausto e su tutto ciò che esso ha portato via.
Nella nostra scuola ogni anno viene scritto e messo in scena uno spettacolo per il Giorno della Memoria e ogni anno decine di classi anche solo per un’ora riescono davvero a capire che tutto quello che viene scritto sui libri di storia non sono storielle, ma sono fatti che purtroppo sono accaduti davvero. Lo spettacolo di quest’anno narrava la storia di due fratelli che frequentavano il nostro istituto e che, un giorno che sembrava come un altro, hanno visto tutte le loro speranze e i loro sogni svanire.
Rosa e Abramo Segre, con la loro mamma Ester, sono stati deportati nel campo di Auschwitz dopo essere stati per un periodo nel carcere “Le Nuove” di Torino. La loro unica “colpa” per i nazisti era essere ebrei e per questo motivo meritavano la morte.
Lo spettacolo iniziava con il momento in cui Rosa veniva espulsa da scuola dopo le leggi razziali del ’44 e continuava, tra musiche e balletti, fino ad arrivare al momento in cui il pubblico capiva che i tre, come molti altri, non ce l’avessero fatta.
La storia dei due ragazzi e del loro viaggio veniva raccontata attraverso le lettere che Abramo, detto Mino, scriveva a Lucia Bracco, sua amica, e che per fortuna o per un segno del destino sono riuscite ad esserle recapitate. Mino in una delle prime lettere scritte dal carcere chiedeva a Lucia di portare a lui e alla sua famiglia i beni di prima necessità come il pane e qualche altra cosa da mangiare perché gli veniva dato poco o niente ogni giorno.
Tra la lettura di una lettera e un’altra si alternavano balletti, canzoni e pezzi suonati al pianoforte e al violino. L’aggiunta di queste parti rendevano il tutto ancora più emozionante e aiutavano lo spettatore a comprendere ancora meglio le emozioni dei personaggi.
Mino non si ferma, continua a scrivere le lettere anche dal treno che li deporta verso il campo di concentramento di Auschwitz, ultima destinazione del loro viaggio e purtroppo anche della loro vita.
Il ragazzo racconta a Lucia cosa sta succedendo, le descrive il luogo dove si trovano e tra le righe si può scorgere la tristezza che si porta dentro, la paura che prova sapendo cosa potrebbe succedere a lui e alle due donne più importanti per lui. Prima di arrivare al campo di Auschwitz lascia cadere la lettera dal vagone che dal binario 21 di Milano lo stava portando in un punto di non ritorno e questo lui lo sa. Mino sa che nessuno di loro tornerà vivo da quel viaggio e proprio per questo motivo lascia scritto a Lucia un testamento lasciandole tutti i suoi averi.
Lo spettacolo ha quindi raccontato la storia di due ragazzi come noi che un giorno qualunque hanno scoperto di non poter più andare a scuola e di non poter fare tutte quelle cose che per noi oggi sono scontate. Lo spettacolo ha anche parlato delle loro paure, della loro tristezza e della loro consapevolezza di non poter tornare indietro. Mai più.

Appunto per non dimenticare ciò che è davvero successo, dal 21 al 25 gennaio 2019 noi allievi della scuola, con la coordinazione di alcuni professori, ci siamo impegnati ad organizzare vari eventi per non dimenticare l’omicidio di più di sei milioni di persone da parte del nazifascismo. La Shoah. Dal lunedì al venerdì si sono quindi tenute varie presentazioni in Aula Magna, lo spettacolo diretto dalla professoressa Paola Gazzi e la posa di due pietre d’inciampo davanti al nostro istituto.
Soffermandoci su quest’ultime, esse sono state posate in memoria di due ragazzi che frequentavano il Berti, i protagonisti dello spettacolo, Abramo e Rosa Segre. Abramo, chiamato da tutti Mino, riuscì a completare la sua educazione e si preparava ad insegnare, quando le leggi razziste del 1938 gli proibirono di esercitare la sua professione. Rosa, d’altra parte, doveva iniziare la seconda superiore quando, il primo ottobre, le medesime leggi la obbligarono a rimanere a casa da scuola. Furono portati, insieme alla madre, al campo di concentramento di Auschwitz, dove Rosa e sua mamma furono eliminate appena giunte al campo, mentre Mino fu mandato a lavorare. Morì anche lui poco dopo.
Per questo alcune classi del nostro liceo si sono impegnate a cercare negli archivi le pagelle e i documenti rimasti, per ricostruire una storia alla quale nessuno aveva ancora dato voce. La mattina di martedì 22 gennaio le classi 5D 5C e 4C si sono riunite con il sindaco di Chivasso, il paesino di Rosa e Abramo, per ricordare la storia di quei due ragazzi. A posare le pietre è stato Gunter Demnig, l’artista tedesco autore delle Stolpersteine, i blocchi di pietra ricoperti da una piastra d’ottone che ora si trovano all’ingresso del nostro istituto.
Intervistando le persone presenti alla cerimonia, una signora di Chivasso ci risponde: “È da voi ragazzi che parte tutto”. La stessa persona ci ringrazia, perché grazie soprattutto alle classi incaricate del progetto, sono venuti a conoscenza dell’esistenza di altre persone della comunità ebraica che, dopo il nazifascismo, sono sparite nel nulla, senza che nessuno si ricordasse di loro.

È da noi ragazzi che parte tutto. Siamo noi i primi che dobbiamo interessarci e non dimenticare. Perchè la storia di Abramo e Rosa non è unica, ma l’esatto opposto. È fin troppo comune. Siamo noi a doverci impegnare, per fare in modo che la storia di queste persone sia ricordata e rispettata. E, soprattutto, per riconoscere che eventi del genere non devono più accadere.

 

-Un articolo di Ginevra e Silvia

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