In piazza per riprenderci il futuro
Quest’oggi ho deciso di parlare di una tematica a cui personalmente tengo molto: manifestare pacificamente per uno scopo comune. Venerdì 29 gennaio, c’è stata la manifestazione “In piazza per riprenderci il futuro“, partita principalmente da pizza Sabotino. L’obbiettivo di questa riunione in piazza, se si può chiamare così, era il fare capire che la situazione sta sfuggendo di mano, partendo proprio dalle scuole. A Torino, come in molte altre parti del mondo, le scuole non sono, dal punto di vista dell’edilizia, messe bene. Ci sono pezzi di soffito e muro che crollano, bagni inutilizzabili, termosifoni che non vanno, aule troppo piccole per contenere un numero elevato di studenti. Il modo per rimediare a questo problema sarebbe ricevere i soldi dallo stato, ma invece, questi soldi destinati alle scuole, finiscono spesso e volentieri alle fabbriche e alle grandi imprese. Il problema più grande è che anche i lavoratori sono messi male, perché sono in molti a lavorare senza più ricevere uno stipendio sufficiente da portare a casa per fare mangiare i propri figli e pagare tutte le bollette. Altri sono stati licenziati direttamente, trovandosi quindi nella stessa situazione di chi lavora. Ormai siamo un tutt’uno, tutti sulla stessa barca che affonda.
Personalmente, devo ammettere che quando sono arrivata avevo un po’ di paura, perché era la mia prima manifestazione dopo il covid e non ero sicura di come si sarebbe svolta, però tutto è andato per il verso giusto.
Questo evento mi è piaciuto per vari motivi. Principalmente perché coinvolgeva studenti di tutte le scuole di Torino e anche un gruppo di lavoratori che, se ci ragioniamo su, sono messi nella nostra stessa situazione. Un giorno anche noi giovani diventeremo adulti che lavorano, quindi fregarsene e non pensare a loro è sbagliato.
Poi, perché non pensavo che il mondo potesse tornare a manifestare le proprie idee in piazza come una volta. So che per molte persone questo avvenimento potrebbe sembrare una sorta di cavolata volta solo a creare assembramento, ma io posso garantire che c’erano dei ragazzi che si sono impegnati tantissimo affinché tutti mantenessero l’ordine e le distanze. Inizialmente è stato così, eravamo disposti in file, lontani uno dall’altro, ma facendo partire il corteo purtroppo queste file si sono un po’ perse in tanti gruppi sparsi. Per quanto riguarda le mascherine ce le avevamo tutti quanti su, compresi fotografi, giornalisti e le forze dell’ordine. Ci sono state però persone che hanno assunto comportamenti che potevano tranquillamente evitare, come fumare, che comportava il doversi abbassare la mascherina. Ma per il resto devo dire che ce la siamo cavata.
Ci tengo anche ad aggiungere che ciò che mi ha spinta ad andare a questa manifestazione sono state le mie idee riguardo alla situazione di adesso. Sono consapevole del fatto che non ha scelto nessuno una pandemia mondiale, né i ragazzi né tantomeno il governo, però penso che ci siano state molte decisioni sbagliate. Ad esempio, a me sembra che il nostro rientro a scuola, avvenuto il 18 gennaio, sia stato solo a scopo del governo che ci ha “usati” come dimostrazione che, rientrando a scuola, si sarebbe potuto pensare a una possibile normalità, quando non è così. Ora come ora la normalità nessuno sa più cosa sia. In un anno il mondo è cambiato sotto tante prospettive, e ciò che si poteva fare prima, adesso non si può più fare, oppure si può ma rispettando varie regole e limiti.
Per quanto riguarda il rientrare a scuola non saprei che dire, nel senso che penso che tutti, o almeno la maggior parte delle persone sono convinti del fatto che la DAD sia stata un fallimento.
Con la didattica a distanza è stato tutto più difficile. Ci siamo trovati a vivere una situazione assurda. Ancora oggi (un po’ di meno visto il rientro a scuola al 50%) ci troviamo a fare lezione davanti a uno schermo, munito di telecamera e microfono. Questo comporta una distrazione molto più frequente, perché abbiamo il telefono davanti e magari stiamo a scrivere con gli amici. Magari ci mettiamo a mangiare e smettiamo di seguire, oppure facciamo direttamente altro e ci perdiamo completamente. Ovviamente ci sono persone che nonostante tutto hanno continuato a studiare con costanza e impegno, mettendoci tutta la buona volontà. Altre invece si sono appunto perse, come ho detto prima, e ancora attualmente non sono riuscite a trovare un modo per convivere con la DAD. Molte classi si sono trovate a dover affrontare un sacco di argomenti da studiare uno dietro l’altro, accumulando tutto. Poi con le ore asincrone (ore che si recuperano facendo delle attività su una determinata materia) ci sono stati ancora più problemi, perché molte delle attività implicavano il dover guardare dei video o comunque dover lavorare sul PC, quando sarebbe stato meglio dare attività che non coinvolgessero l’uso del computer, anche se ormai sembra impossibile. La DAD ha causato il crollo di molti adolescenti, stressati per il futuro scolastico e per la situazione attuale.
Per gli insegnanti invece è un po’ più diverso, ma alla fine ci troviamo tutti lì. Loro hanno fatto e stanno facendo ancora adesso tutto il possibile per continuare ad insegnare e portare avanti i loro programmi.
Molti ci sono venuti incontro, ad esempio togliendoci qualcosa da fare o spostando la data di un compito ad un’altra più lontana per darci più tempo.
Altri invece hanno fatto l’opposto. Hanno caricato cose su cose usando la scusa, “tanto sono a casa, hanno tutto il tempo per studiare”. Non hanno cercato di mettersi nei nostri panni, soprattutto in questa situazione così esaustiva. Con il rientro in presenza poi si è complicato ancora di più, perché ci stiamo trovando con un sacco di verifiche e interrogazioni giustificate dal fatto che siamo in presenza solo pochi giorni e non dobbiamo perdere tempo, perché dobbiamo avere delle valutazioni. Io mi fermerei un attimo, perché, sapendo che stiamo uscendo da un anno in DAD, dovrebbero capire che le valutazioni non sono la cosa più importante di tutte, ma piuttosto sarebbe, secondo la mia opinione, più utile cercare di dimezzare il programma o assicurarsi che abbiamo appreso tutte le cose finora studiate.
I voti non sono la priorità, ma quello che ci rimane impresso, che mi sembra ben poco se la scuola è soltanto un accumulo di verifiche nei pochi giorni di presenza.
Concludo quindi dicendo che questa non sarà l’ultima manifestazione che faremo, perché stare in silenzio non risolve nulla. Cercando di esporre le nostre idee, invece, arriveremo a farci ascoltare da chi sta ai piani alti, e forse inizieranno a capire non tutte le misure che sono state adottate sono le più efficienti. Ad ogni modo, sono sicura che stando tutti insieme, giovani e adulti, ne usciremo più forti. Se non lottiamo per i diritti che ormai sembrano essere stati dimenticati, allora per cosa dovremmo farlo?
Spero che il mio sia stato un momento di riflessione su quello che questa manifestazione vorrebbe trasmettere a tutti noi. È chiaro che un giorno non fa la differenza, ma tanti giorni di insistenza, arriveranno a far cambiare qualcosa.