Farhad Bitani:storia di un sopravvissuto

*FARHAD BITANI: STORIA DI UN SOPRAVVISSUTO*

Anche quest’anno il Liceo Domenico Berti ha avuto la possibilità di organizzare “le giornate dello studente”, che hanno coinvolto per ben 3 giornate tutti gli alunni della scuola.
Uno dei laboratori più frequentati e risultato uno dei più interessanti è stato l’incontro con Farhad Bitani, classe 1986,ex capitano dell’esercito afghano e figlio di un generale dei mujaheddin.
Autore del libro”L’ultimo lenzuolo bianco-l’inferno e il cuore dell’Afghanistan”, pubblicato nel 2014, nel quale egli descrive le atrocità che i talebani compivano e l’universo in cui egli stesso ha vissuto immerso nella violenza fin dalla nascita, quando il padre sconfisse i sovietici e successivamente nel 1997 venne imprigionato a Kandhar, poiché nemico dei talebani.La famiglia,perciò,fu costretta a nascondersi, passando dalla ricchezza alla miseria più profonda.
Questa sua testimonianza di un percorso personale lo porta dall’esercito afghano, nel quale occupava i gradi di capitano,in Italia,alla collaborazione con la Questura di Torino come rifugiato politico.
Farhad nel suo libro, che conobbe la strada del successo, dichiara di aver vissuto gli anni della sua infanzia nell’ipocrisia, di essere andato allo stadio con gli amici ed aver assistito alle lapidazioni di donne, mutilazioni e decapitazioni da parte dei talebani.
Negli anni in cui i nemici si trovavano a governare l’Afghanistan,i civili erano sottoposti a regole severe e rigide: gli uomini dovevano avere i capelli corti, la barba lunga,le ascelle rasate e le sopracciglia folte; mentre le donne coperte completamente dal burqua, non potevano truccarsi né parlare con altri uomini se non con il marito ed il padre.Inoltre le donne,sin dalla giovane età, venivano date in sposa a talebani, molto più anziani di loro.
Chi si rifiutava di obbedire a queste regole veniva decapitato,ucciso o imprigionato.
Tutti i civili dovevano obbedire ai talebani e molte volte mettere in gioco la propria vita, facendosi saltare in aria per mostrare la loro fedeltà e amore nei confronti di Dio.Madri, uomini e bambini che non sono nati fondamentalisti, hanno subíto in tal senso un lavaggio del cervello.
Tornato in Afghanistan nel 2011, Farhad rimase ferito ad una spalla durante un attentato e alla luce di questo trauma racconta l’orrore di cui è stato testimone.
Trasferitosi in Italia, Farhad non riesce a comprendere il perché le persone “definite infedeli” siano state accoglienti nei suoi confronti al suo arrivo.In seguito si rese conto che voleva riportare la giustizia nel suo Paese.

“Per questo ho iniziato a scrivere.All’inizio ero spinto più dalla rabbia e dalla delusione:volevo denunciare, smascherare. Poi, man mano che andavo avanti,si chiariva in me la necessità di testimoniare il cambiamento della mia vita”.
[…]”Lascio le armi per impugnare la penna, traccio i fatti senza addolcirli, senza velarli.Dopo aver vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza nell’ipocrisia,ho un tremendo bisogno di verità”.

Farhad iniziò a scrivere le pagine di questo libro per raccontare la sua vita e la situazione nel suo Paese, con lo scopo di far comprendere la verità e far guardare la realtà con occhi diversi.
Un libro interessante, commovente che fa riflettere ciascuno di noi sulle guerre e le situazioni che hanno colpito i paesi occidentali.
Tuttora così.

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