Francia 1942
Donne e collaborazionismo en zone libre
Francia 1942, Vichy. Un gruppo di donne si ritrova dopo essere state arrestate dai nazisti. Hanno tutte caratteri, convinzioni, sogni diversi ma un solo dubbio: cosa ci fanno tutte quante lì? Cosa vorranno da loro i tedeschi? Il tempo gioca un ruolo importante grazie alla musica: quando questa accelera i dialoghi si fanno più concitati, ansiosi, frettolosi. Ogni donna pensa qualcosa di diverso sui tedeschi e sul loro operato ma sono accomunate da un sentimento: la paura. Qualcuna afferma che sarà solo un banale controllo di documenti, nulla di più. Proprio quel nulla di più sembra destabilizzare le donne. Iniziano a scorrere voci su quello che i nazisti fanno veramente agli ebrei: sembra che li portino tramite treni merci in Polonia, dentro campi di concentramento. Intanto le perquisizioni cominciano: nel gruppo c’è anche una zingara che viene accusata dalle donne di furto. Il pregiudizio dell’epoca è evidente: piovono insulti infondati e non ci si preoccupa del fatto che la ragazza andrà incontro allo stesso destino che spaventa tanto le altre. Un balletto dai ritmi zingareschi saluta la giovane che viene condotta in un punto di raccolta. Vengono portate altre donne e l’interrogatorio procede. Inizia a sparire l’ottimismo ed ognuna di loro mostra una grande fragilità che ha portato la guerra. Iniziano a sparire le donne che vengono ritenute ‘sospette’ ed un’altra tenta la fuga ma viene riacciuffata e picchiata brutalmente. Altri balletti che raffigurano la disperazione degli ebrei nel fuggire o affidare agli altri i loro beni o chi amano funge da commovente intermezzo. Il dialogo che più mi ha colpito credo sia indiscutibilmente il momento in cui una dottoressa ebrea si confronta con un’attrice che ha lavorato in Germania ed una principessa austriaca. L’attrice si domandava come fossero possibili centinaia di morti senza che nessuno ne fosse completamente certo, non si poteva considerare umani coloro che uccidevano. La dottoressa, invece, affermava che ammazzavano proprio perché umani. In effetti tutto torna. Non siamo mai stati bravi a comunicare con le parole, abbiamo sempre dovuto cercare un sostituto, pacifico o violento che fosse. In più, sicuramente è giusto dire che trucidavano proprio perché umani: forse chi compiva questi massacri, agiva perché aveva paura di contraddire ordini che riceveva da chi era più in alto di lui. Altra spiegazione plausibile è che la guerra abbia potuto azzerare in molti gli stati d’animo che permettevano di interagire con il prossimo senza ricorrere alle armi. Proprio per queste ragioni le donne rimaste (la dottoressa e la principessa) discutono tra di loro concitatamente. Un’altra cosa che mi ha molto colpito è stata una domanda: tu perché puoi vivere più di me? Questa domanda è stata posta più volte anche per far riflettere il pubblico, credo. È proprio quello che mi chiedo molto spesso anche io. Il coro ha giocato un ruolo di primo piano in alcune scene e mi è piaciuto il fatto che le canzoni fossero anche in lingua. La canzone in ebraico ha suscitato molta ammirazione da parte del pubblico come anche il balletto finale. Gli applausi finali sono stati più che meritati per attori, ballerini, coro e per tutto il lavoro che c’è stato dietro per la realizzazione.