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L’ombra di ieri e quella del domani

27 gennaio 2022. Sono trascorsi ormai settantasette anni dal giorno in cui le armate sovietiche liberarono il campo di Auschwitz ed i suoi prigionieri. Un secolo dopo osserviamo attoniti come quest’episodio venga spesso strumentalizzato da politici che sfruttano l’avvenire di questa ricorrenza. Qualcosa di ripugnante ciò che si sta tristemente diffondendo e che va al più presto fermato, usando l’arma del ricordo.

Anche quest’anno il nostro liceo ha voluto onorare le vittime innocenti dei Konzentrationslager offrendo a noi studenti ampi spunti di riflessione, reperibili sul canale YouTube della scuola, omaggiando in particolar modo una donna, Simone Veil. Prima presidente del Parlamento europeo, è stata deportata in un campo di smistamento francese, nel marzo del 1944 ed è tornata a Nizza solamente nel maggio 1945. Della sua famiglia sopravviveranno solamente lei e le sue due sorelle, di cui una aveva appoggiato i partigiani francesi.

Ogni anno alcuni studenti italiani tornano ai campi per metabolizzare e non dimenticare ciò che è accaduto. Con loro, anche i presidenti di molte associazioni impegnate in questa battaglia giornaliera contro oblio ed ignoranza. Abbiamo quindi intervistato un ex studente del Berti che, due anni fa, ha avuto l’opportunità di vivere quest’esperienza, Gian Marco Maffione.

Com’è strutturato il progetto?

Il progetto è suddiviso in due parti; una più teorica, composta da incontri formativi in cui vengono affrontati i diversi temi riguardo alla nascita del Nazismo. La seconda parte è il viaggio, che dura sette giorni. Si visitano Cracovia e i campi di concentramento di Auschwitz ed Auschwitz Birkenau.

Che cosa avete visitato a Cracovia?

A Cracovia abbiamo visitato il quartiere ebraico, dove oggi abitano alcuni discendenti dei pochi sopravvissuti all’Olocausto, e la fabbrica di Oskar Schindler.

Ti va di raccontarmi della giornata trascorsa ai campi?

I campi li abbiamo visitati il 30 gennaio. All’ingresso del campo di Auschwitz, ci ha accolto la scritta “Arbeit Macht Frei”. Nei Block, le baracche, da dietro un vetro ho visto le cataste di effetti personali ed i barattoli che contenevano lo Zyklon B, i cristalli del gas asfissiante. Appese alle pareti c’erano le foto dei deportati. Erano presenti anche i dipinti dei sopravvissuti; in una teca c’era ciò che un deportato doveva mangiare. Ho visto il Muro della morte, dove venivano giustiziati i prigionieri, ai piedi erano appoggiate corone di fiori portate dalle istituzioni il 27 gennaio. Nel campo abbiamo avuto la possibilità di vedere una delle camere a gas, una delle poche rimaste in piedi in quanto i nazisti non riuscirono a farla saltare in aria, lì vicino c’era anche un forno crematorio.

Nel pomeriggio ci siamo spostati ad Auschwitz-Birkenau, che mi ha colpito molto per la grande distesa di baracche presenti, in parte distrutte. Sui binari del treno era stato posizionato uno dei vagoni originali. La guida ci ha fatto vedere il Block in cui erano detenuti i bambini, su uno dei “letti” qualcuno aveva lasciato tre rose rosse; sulle pareti erano presenti dei disegni che le donne del campo avevano fatto per cercare di rallegrarli. Alla fine della ferrovia s’innalza un monumento che raffigura una famiglia che si appresta a entrare nel forno crematorio.

Cosa trai da quest’esperienza? La consiglieresti?

Questa domanda, anche a distanza di due anni, mi mette ancora in difficoltà. Sono partito con dei dubbi, ho trovato alcune risposte, ma ne sono comparsi altri; ancora non comprendo come la mente umana sia stata capace di allestire un luogo in cui ospitare centinaia di migliaia di persone e ucciderle. Ritengo che sia importante per tutti sapere che cos’è successo, per capire perché il 27 gennaio si ha il “Giorno della Memoria”, perché di fronte al marciapiede del Berti ci sono due Pietre d’inciampo recanti i nomi di Abramo e Rosa Segre, due compagni che sono stati arrestati, deportati e uccisi ad Auschwitz. Uno dei capi del primo gruppo ha detto “Cosa possono fare 811 persone?” e io me lo chiedo: “Che cosa posso fare io?” girandovi la domanda: “Cosa potete fare voi?”

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