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Giorno del ricordo 2021

I ricordi sono un’arma incredibile, spesso a doppio taglio. Possono essere utilizzati per dare sollievo e per unire le persone, o per dare testimonianze di eventi che hanno fatto la nostra Storia personale o quella del mondo. Ad ogni modo, sono molto importanti perché ci rendono quello che siamo. Dai ricordi sappiamo come interpretare le diverse situazioni che ci vengono poste ogni giorno, difficili o facili che siano. Per questo motivo, per noi esseri umani rievocare le nostre memorie può provocare gioia o immenso dolore. Per evitare di rinnovare quest’ultimo, ci tramandiamo ciò che è successo. Per ricordare e non dimenticare. Per sapere, ed essere coscienti, del fatto che molte cose sono accadute, e continuano a succedere, portando con sé una scia di disperazione e distruzione. Per creare un mondo migliore.

Cos’è il Giorno del Ricordo? Da non confondersi con il Giorno della Memoria, altrettanto importante, è stato istituito per non dimenticare i massacri delle foibe e dell’esodo Giuliano Dalmata. Per questo motivo, ogni 10 febbraio, ci sono iniziative che spiegano ciò che accaduto dopo la Seconda guerra mondiale. Siamo abituati a sentir parlare di migranti, ma non ci soffermiamo mai a pensare quando noi eravamo nei loro panni, in condizioni simili, e in alcuni casi anche peggiori.

Prima di narrarvi più nello specifico di un’iniziativa svolta per celebrare questo giorno, ho però intenzione di citare un autore torinese che ci aiuterà a capire perché il massacro e l’esodo sono avvenuti. In effetti, l’odio che è scaturito dalle propagande naziste e fasciste, non morì con la fine della guerra, ma continua per sino nei giorni nostri, come si può notare da spiacevoli episodi più volte accaduti. L’autore in questione è Primo Levi ed il testo è una poesia.

Annunciazione.

Non sgomentarti, donna, della mia forma selvaggia:
Vengo di molto lontano, in volo precipitoso;
Forse i turbini m’hanno scompaginato le piume.
Sono un angelo, sì, non un uccello da preda;
Un angelo, ma non quello delle vostre pitture,
Disceso in altro tempo a promettere un altro Signore.
Vengo a portarti novella, ma aspetta, che mi si plachi
L’ansimare del petto, il ribrezzo del vuoto e del buio.
Dorme dentro di te che reciderà molti sonni;
è ancora informe, ma presto ne vezzeggerai le membra.
Avrà virtù di parola ed occhi di fascinatore,
Predicherà l’abominio, sarà creduto da tutti.
Lo seguiranno a schiere baciando le sue orme,
Giubilanti e feroci, cantando e sanguinando.
Porterà la menzogna nei più lontani confini,
Evangelizzerà con la bestemmia e la forca.
Dominerà nel terrore, sospetterà veleni
Nell’acqua delle sorgenti, nell’aria degli altipiani,
Vedrà l’insidia negli occhi chiari dei nuovi nati.
Morrà non sazio di strage, lasciando semenza d’odio.
è questo il germe che cresce di te. Rallegrati, donna.

22 giugno 1979

Con questa poesia, gentilmente spiegata dal circolo dei lettori nel primo di una serie di video sull’argomento di cui di seguito vi lascio il link (https://www.youtube.com/watch?v=3cYnyHFfn1U), Levi vuole avvisare la futura madre di Hitler, su ciò che il figlio compirà una volta adulto. Vola da lei, indietro nel tempo, dopo che ha già vissuto sulla sua pelle la pazzia di quell’esserino ancora non ben definito, nella donna che ignora il tragico futuro che il figlio riserva a sé stesso e al mondo. Uno strascico di odio che, come già detto, stringerà l’umanità in una morsa di odio nei confronti del prossimo per molti anni a venire.

Da questo, possiamo finalmente capire come mai ci fu il massacro seguito dall’esodo.

Ieri, ISTORETO, ha tenuto un seminario online che si occupava dell’arduo compito del ricordo.

A quest’incontro ha partecipato il presidente del consiglio regionale, Stefano Allasia, ricordando quando sia importante non accomunare sotto una bandiera politica un evento di tale portata. Ha inoltre citato gli sforzi dei precedenti Presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, e di quello attuale, Sergio Mattarella, nel ricordare e celebrare le vittime di questi terribili episodi. Anche Maria Grazia Sestero, politica torinese, rimarca il fatto che, la giornata non debba essere strumentalizzata per scopi politici. Sottolinea inoltre un problema al quanto grave, che ha posto più volte anche il moderatore della riunione, il professor Riccardo Marchis: i giovani devono essere informati dell’accaduto e questa giornata deve avere la stessa importanza attribuita al giorno della memoria. Le scuole devono quindi affrontare quest’argomento perché, altrimenti, la mancanza di informazione, causa episodi di ignoranza manifestata in modo ancor più discutibile.

Antonio Vatta ha gentilmente raccontato, in vece di testimone, la sua esperienza di esule. Aveva infatti solo dieci anni quando si dovette trasferire forzatamente da Zara, all’epoca in Dalmazia, oggi in Croazia.

Tra gli altri interventi, anche quelli di Alessandro Bollo (direttore della Fondazione Polo del ‘900 di Torino) e di Carla Marello (linguista) hanno ricordato l’importanza che esercita questo giorno per la storia della nostra Nazione. Infine, Sergio Blazina ha ribadito che al Campidoglio oggi Claudio Smareglia racconterà la sua esperienza di esule di Pola, a seguire poi la lettura di una lettera tratta dal brano “Bora” di Anna Maria Mori e Nelida Milani. Ci saranno ad assistere alcuni studenti delle scuole romane, tra cui allievi che hanno partecipato al Viaggio del Ricordo in occasione del Giorno della Memoria.

Infine, il pezzo forte del seminario: la presentazione di due libri. Il primo, scritto da Enrico Miletto, “Novecento di confine. L’Istria le foibe l’esodo” è stato commentato da Fabio Todero.

Todero, riferendosi al contenuto del libro e di quello che ha scritto l’autore, ci dice: “La parola chiave di questo libro, è confine. L’autore, ci inviata non solo a guardare i confini “materiali”, ma anche quelli più pericolosi, ovvero quelli mentali. Esso è composto da sette capitoli, di cui quattro solo per il dramma dell’esodo ed uno per quello delle foibe. Oggi, non ci si può più basare su luoghi comuni, commettendo quindi un imprecisato numero di gaffe, ma bisogna informarsi. Spesso però questo non accade, adoperando quindi schemi, slogan o tweet in modo improprio. Questo errore, non va assolutamente fatto con la storia del confine orientale. Dobbiamo dargli il giusto peso e la giusta importanza, anche per le generazioni future. Molti testimoni, infatti, non hanno potuto parlare per anni (subendo un trattamento simile a quelli sopravvissuti ai campi di concentramento), perché erano considerati erroneamente tutti quanti fascisti. Non c’era nessuna distinzione. Oggi, il nostro compito è quello di ascoltare.”

Il secondo libro, scritto da Lucia Cinato, “Voci di tedeschi in fuga”, è stato commentato da Simona Leonardi.

Simona Leonardi, come prima cosa, ci fa notare quanto la parola etnia sia così simile a razza. Si rischia, con grande facilità, di usarla in modo improprio. “Il libro è basato su tre interviste fatte a tre fratelli: Otto, Hedwig e Gertrud. Il fratello maggiore, hanno sette anni di differenza, è stato reclutato a soli quindici anni. Quando poi la Germania ha perso la guerra, prima di poter riabbracciare i suoi cari, ha dovuto attendere parecchi anni. Le due sorelle sono rimaste in Polonia, nei vecchi territori tedeschi, ma a differenza di molti loro consanguinei, che hanno dovuto subire lo stesso triste destino di molti italiani in Istria ed in Dalmazia, loro non sono state in cacciate. Lì però, poiché considerate tedesche, non hanno potuto godere di una cittadinanza. Una volta tornate in Germania, i tedeschi invece, le consideravano polacche e quindi, le disprezzavano. Hanno così iniziato ad appartenere a nessun luogo. Loro, sono state fortunate, perché molte delle Nazioni in guerra, hanno compiuto le famose azioni dei minori non accompagnati, hanno cioè messo in salvo in altri Paesi considerati più sicuri, molti bambini e ragazzi minorenni, che però di contro persero le notizie della propria famiglia. Un altro problema evidenziato nel libro sono le pietre d’inciampo, in polacco “pietre della memoria”. Sono infatti trentadue in otto città, (solo a Torino sono centoquattordici), la maggior parte di esse scritte in polacco. Alcune di queste hanno suscitato diverse polemiche proprio per la lingua nella quale sono state incise poiché, secondo alcuni pareri, dovrebbero essere in tedesco.”

Infine, alcune classi dei licei ed istituti tecnici come il Gioberti, l’Avogadro ed il Natta (Rivoli) hanno posto le loro domande agli autori, ricevendo risposte più che esaurienti.

Un’ultima sorpresa ha concluso quest’incontro: il signor Vatta è stato infatti invitato dal liceo Gioberti. Egli, un po’ emozionato, ha accettato ricordando che il non dimenticare, è la chiave per un futuro migliore.

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