Morte alla dignità o morte alla giustizia?

Morire a casa dovrebbe essere un privilegio. Si può concedere questa possibilità ad un boss mafioso che ha mandato a morte 100 persone tra cui donne e bambini già dalla sua adolescenza? I giudici della corte di cassazione dicono sì. È il caso dell’ormai anziano Salvatore Riina (86 anni), il “capo dei capi” dell’associazione criminale mafiosa “Cosa Nostra”. Dopo 24 anni di galera al 41-bis, accusando ormai sempre più gravi problemi di salute, la suprema corte ha deciso di intervenire, chiedendo di allentare le strette maglie della giustizia che lo opprimono, e di scarcerarlo, per permettergli una morte dignitosa.
Sembra assurdo che lo Stato gli consenta tale opportunità dopo 19 ergastoli. Le ragioni che spingono i giudici di piazza Cavour ad avere pietà di lui, chiudendo un occhio sulle sue vittime, tra cui ricordiamo Borsellino e Falcone, sono soprattutto motivi morali. Essi ritengono che ogni uomo abbia diritto ad una morte dignitosa indipendentemente dalla gravità delle colpe da quest’ultimo commesse.
La morte segna la fine del nostro ciclo di vita personale, e pertanto deve essere rispettata, nel diritto di ogni uomo. Nonostante il mafioso venga soprannominato “La Belva” per indicare la sua ferocia sanguinaria, fino a prova contraria è pur sempre un uomo, e in quanto tale possiede pari diritti ad ogni innocente. Eppure nel caso di Dj Fabo, lo Stato non ha voluto concedergli la morte dignitosa che egli pretendeva. Gli stessi innocenti, vittime di mafia, non l’hanno avuta. Un esempio è il bambino Giuseppe Di Matteo ucciso nell’acido da complici di Riina: l’unica sua colpa era quella di essere il figlio di un pentito. “Del bambino era rimasto solo un pezzo di gamba e una parte della schiena” riporta Vincenzo Chiodo, testimone diretto dell’uccisione.
Tuttavia, Riina merita una morte tranquilla, naturale, nel letto di casa propria, con le cure che gli spettano. Sempre che non si macchi di altre colpe in fin di vita, come già era riuscito operando anche  dal carcere. Ma credendo nel continuo divenire dell’umanità, si può anche supporre che egli sia cambiato nel corso del tempo, grazie alla severa reclusione di Asinara, che l’avrà rieducato sul piano sociale restituendo al mondo un uomo nuovo, diverso da quello che è entrato… Comunque sia non bisogna porre questa questione concentrandosi sull’aspetto della dignità della morte, perché come ad ogni altro carcerato, al “capo dei capi” verrebbero garantite cure e assistenze pari ad ogni altro libero cittadino seppur in galera. La questione sulla quale conviene piuttosto soffermarsi è il rispetto della giustizia, cioè in questo caso degli ergastoli.
Riina evidentemente esercita ancora un forte potere per aver portato all’attenzione dei giudici il suo caso; non si tratta quindi di dignità, ma di un’ulteriore beffa alla giustizia, uno schiaffo per chi ancora piange le sue vittime. Non si tratta di dignità, perché nulla gli è tolto di umanamente dignitoso e lecito se non la sua libertà, che il boss ha venduto al caro prezzo del sangue di troppi innocenti.

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