L’ignoto secondo H.P Lovecraft
Howard Phillips Lovecraft, l’autore i quali racconti sfociano nei meandri delle più grandi paure umane, è ormai un’icona del genere horror. Egli è stato uno scrittore e poeta di origini statunitensi vissuto dal 1890 al 1937, ed oggi è considerato il padre del sotto genere del horror che narra di mostri, aberrazioni, luoghi e oggetti che trascendono i limiti della percezione umana, questo sotto genere è detto “orrore cosmico”. Sicuramente tra voi lettori qualcuno avrà sentito parlare di Cthulhu prima d’ora. L’abominevole bestia fu proprio invenzione di H.P Lovecraft, inoltre è considerata l’icona del suo operato e la ragione per cui, ad oggi, Lovecraft è conosciuto a livello internazionale.
“La Cosa non può essere descritta: non esiste un linguaggio per tali abissi di follia stridente e immemorabile e tali contraddizioni arcane di tutta la materia, forza e ordine cosmico. Una montagna camminava o inciampava”
Questa frase è solo uno dei più rinomati esempi di come i mostri lovecraftiani non siano raggiungibili dalla mente umana; poiché essa ,come tale, manca di cognizione. Creature celate nei baratri più profondi, entità segregate all’interno di realtà incomprensibili, è questo a cui i personaggi negli scritti di Lovecraft vanno incontro. L’oltremondana natura di ciò che è davanti ai loro occhi non gli sarà mai chiara se essi continueranno ad avvalersi della fioca luce della ragione umana messa a confronto con l’ineffabili caratteristiche delle precedentemente presentate situazioni.
Ed è allora qui che un’altro dilemma subentra: come fare a comprendere l’impensabile.
Un esploratore entra in una buia caverna, soltanto accompagnato dalla luce della sua fidata lanterna, man mano che si addentra tra le vaste e sconosciute profondità della grotta la luce della lanterna diventa sempre più fiacca e inaffidabile. Egli, dunque, per quanto sia terrorizzato dall’ignoto prosegue all’interno di esso spinto dalla sua umana curiosità.
Ad un certo punto, il più importante oserei dire, la sua ormai scarsamente luminosa lanterna si spegne del tutto, ma egli anziché voltarsi e andare via continua il suo viaggio, avvolto dall’oscurità.
Le mura attorno a lui iniziano a mutare, diventando qualcosa che non si può comprendere, come un connubio di vene, arterie e ossa fatte di pietra.
D’un tratto si ritrova immerso nelle più totali tenebre, le quali non sono più semplice buio ma qualcosa che trascende il concetto stesso d’assenza di luce. Imperterrito procede nel tenebrore nel mentre intravede sulle scoscese pareti delle statue di natura aliena e ignota.
Ora un grande portone in pietra di un colore indescrivibile caratterizzato da rune mai vista prima ed arcani raffreschi di sconosciuta provenienza si erge davanti a lui. Aprendo il portone ,l’umano, scorge un reame di calda luce che lo riscalda anche senza doverci far passo.
La luce del reame lo esonda e nei meandri di esso egli nota delle creature il quale corpo sembra essere un tutt’uno con il cosmo. Egli rimane esterrefatto da ciò e si propinqua a entrare nel portone quando esso si richiude improvvisamente.
Così l’uomo si volta e, con nuove e bizzarre storie da raccontare, fugge dallo spaventoso antro.
Questo esempio ci rende noto come l’uomo è spinto dalla curiosità verso l’ignoto, anche se quest’ultimo è l’oggetto della sua più grande paura. Quindi l’umano, secondo Lovecraft, per tentare di comprendere solo una minima parte dei segreti velati dell’universo deve abbandonare la luce della ragione e lasciarsi avvolgere dall’ambiguità della sua immaginazione.
Perciò chi lo sa se quelle che ha visto l’esploratore erano davvero statue.